Un
buon garagista sa di non sapere. Sa che l’arte del vino sta nel
continuare a cercare. Cercare e cercare ancora, anche a costo di
sbagliare, sino a quando farà il vino più buono del mondo. Ecco,
quando parlano di “vin de garage” i francesi pensano esattamente
a vini prodotti con questo modo di pensare e a tiratura
limitata, provenienti da microappezzamenti e vinificati in
cantine che sono parte integrante dell’abitazione del vignaiolo
(da qui il riferimento al garage), realizzati con cura e metodo
artigianale. Nulla di dispregiativo o sminuente, nessun
riferimento al dilettantismo come qualche interpretazione
affrettata vorrebbe far credere. Niente a che vedere con il
“vino del contadino”, definizione diffusa quanto fuorviante
che sfocia in affermazioni del tipo “sì ma cosa vuoi pretendere,
è roba fatta in casa, genuina ma senza troppa attenzione al
dettaglio”.
Saro, l’uomo che dà vita ai vini dei quali stiamo parlando, è un
ingegnere con un vigneto nelle colline di Taormina, con un
obiettivo che non vuole essere pretenzioso, ma che punta a voler
realizzare un vino senza grossi difetti, certamente perfettibile
nel tempo e con l’esperienza, con un controllo minuzioso di
tutti i processi che lo governano durante la sua maturazione. Un
vino che sia il più possibile naturale. Tutto si può riassumere
in una sfida: cercare di ottenere un’eccellenza da un piccolo
vigneto che fu di mio nonno, “Don Antonio U Scapparu”. I suoi
amici, lo considerano una sorta di “Ingegnere del Vino”, nome
accostato alla sua attività professionale e al modo di approccio
scientifico che ha verso questa scienze. Una “mosca bianca” in
una regione nella quale una certa filosofia ancora stenta a
diffondersi, ostacolata da (legittimi) timori legati a malattie
della vite come oidio e peronospora e (meno legittimi)
pregiudizi relativi alla qualità organolettica dei vini.
Leggenda vuole che un addetto ai lavori sia caduto nel tranello
teso da chi gli aveva spacciato questo vino per un grande vino:
“a me viene da sorridere, al di là del paragone improponibile,
l’aneddoto la dice lunga rispetto ai cosiddetti esperti, anche
perché, a differenza dei grandi vini conosciuti in tutto il
globo, “U Scappare” ha le carte in regola per affrontare con la
stessa disinvoltura la carta dei vini di un ristorante stellato
e quella a quadri delle tovagliette di una trattoria. |